martedì, dicembre 20, 2016

storie d'amore

Trent'anni, un marito amorevole e due figli piccoli.
Troppo poco per descrivere una donna, una bella donna: occhi grandi, sorriso facile, ricci bruni, curve morbide. In effetti lei si sentiva sovrappeso, parlava sempre di mettersi a  dieta, ma la sua gioia di vivere, la sua risata squillante spiegava perché non lo faceva: era sana, era allegra, era piena di vita, e poi, diciamolo, non era in sovrappeso.
Ogni mattina, salutava il marito mezzo addormentato, dava un bacio ai bambini e poi via  al lavoro.
Certe mattine d'inverno la pianura era invasa dalla nebbia e gli alberi si ergevano spettrali,  coperti di galaverna, sembravano fantasmi con abiti di merletto. Il treno correva.
C'era freddo, il vapore si condensava nell'aria immobile e i campi si intravvedevano bianchi di brina,
ma quando imboccava il ponte della Libertà il cuore si apriva davanti al paesaggio sempre diverso. La laguna dai cento colori .
Dal grigio ferro dei giorni di pioggia al grigio perla dei giorni con la nebbia. Dal verde all'azzurro nei giorni di sole.
Incredibilmente Agata preferiva i giorni di nebbia. Era come giocare a nascondino. Camminare a passo svelto nelle calli, vedere ombre avanzare e scoprire che erano persone imbacuccate, sentire lo sciabordio dell'acqua e aspettare che  lentamente una barca, una gondola avanzassero silenziosamente.
L'ufficio era caldo e confortevole e con le colleghe aveva stabilito buoni rapporti. Il capoufficio era un uomo piccolo e tondo, sempre impeccabile, fra i quaranta e i cinquanta e con la fama di tombeur de femme. Si sentiva un adone.
Agata e le colleghe lo deridevano e facevano mille congetture sulle sue conquiste, ricamandoci sopra e ridendo a crepapelle alle sue spalle.
A turno venivano convocate nel suo ufficio per disposizioni e indicazioni di lavoro varie e le colleghe si divertivano a cronometrarne la permanenza e,  magari, a malignare su qualche minuto in più.
Agata era quella che si fermava di più. C'era sempre qualche telefonata che interrompeva, richieste più o meno  pretestuose su lavori già archiviati e lentamente un disagio profondo si insinuava nel suo animo. Si rendeva conto che ormai le colleghe l'avevano bollata, certi silenzi al suo arrivare erano più chiari di interi discorsi.
Ma al termine dell'orario Agata correva. Correva a prendere il treno, correva ad abbracciare suo marito con la gioia di chi è innamorata, a baciare i suoi bambini con l'amore di una mamma tenera e fino alla mattina successiva tutto era accuratamente nascosto in un angolino della sua mente.
Una mattina ancora dal capo, ancora con blocco notes e penna per gli appunti,  ancora incerta, insicura, temeva l'evolvere della situazione ed infatti...complimenti, inviti ad uscire, di nuovo complimenti. Agata con diplomazia cercava di sganciarsi, di svicolare, faceva ironia, parlava dei suoi figli sperando di far cambiare l'idea di sé.
...e poi cominciarono le telefonate a casa. No, questo non era sopportabile! Con delicatezza, educatamente Agata cercava di far capire al suo capo che non era il caso, che la metteva in difficoltà.
Il sorriso era sparito, il suo viso era tirato in una smorfia di scontento.
E finalmente prese la decisione, le colleghe la videro uscire dall'ufficio d'impeto, la seguirono incuriosite e la videro entrare nell'ufficio del capo senza nemmeno bussare, erano allibite.
Agata, agitatissima, prendendo il coraggio a due mani, gli si rivolse con grinta e gli disse semplicemente che amava il marito, adorava i suoi figli e non avrebbe messo a repentaglio la felicità della sua famiglia per nessuno, punto!
Il capo era talmente poco abituato a quest'atteggiamento che non riuscì a spiccicare parola.
Da quel momento un'altra dovette subire le sue attenzioni.

2 commenti:

Anna-Marina ha detto...

ma ma ma...l'ha licenziata? che xxxxxx!

Anna-Marina ha detto...

II commento: scrivi proprio bene!!!