lunedì, aprile 19, 2010

Il Punto
di Stefano Folli


Una sconfitta per tutti: una legislatura a rischio

16 aprile 2010

Se Berlusconi e Fini accettassero un consiglio, occorrerebbe dir loro: attenzione, siate prudenti. Perché la situazione nel Popolo della Libertà sta per sfuggire di mano ai due fondatori ed è plausibile che alla fine del braccio di ferro essi saranno entrambi sconfitti. Un punto è abbastanza certo: l'esasperazione del presidente della Camera aveva superato il limite, così come l'impossibilità per lui di influire sulla linea politica della maggioranza.

Ma l'eventuale nascita di gruppi parlamentari autonomi promossi da Fini equivarrebbe a una scissione del Pdl, con tutte le conseguenze del caso. Saremmo di fronte a un singolare episodio di suicidio politico da cui l'unico a trarre vantaggio sarebbe Umberto Bossi. Se è vero che già oggi la Lega è in grado di condizionare le scelte del presidente del Consiglio, si può immaginare come crescerebbe il suo potere dopo il fallimento conclamato della fusione Forza Italia-Alleanza Nazionale.

Il paradosso è infatti questo. La crisi nasce perché il Pdl sembra a Fini e ai suoi amici troppo incerto nella sua funzione di «grande partito nazionale attento alla coesione sociale dell'intero paese». In parole povere, troppo cedevole verso la Lega e distratto rispetto ai rischi del federalismo, in particolare a danno delle regioni meridionali.

Ma se si dovesse davvero consumare la frattura, Berlusconi sarebbe più debole e non più forte nei confronti di Bossi. Questi potrebbe decidere di approfittarne, alzando il prezzo dell'alleanza, oppure al contrario potrebbe addirittura scegliere di svolgere in prima persona un ruolo di mediatore nel centrodestra. In un caso come nell'altro sarebbe padrone della scena più di quanto già non sia.

È chiaro quindi che l'azzardo può costare caro a Fini, ma Berlusconi avrebbe poco da sorridere. I vari «falchi» del Pdl che cento volte hanno invitato il premier a saldare i conti con l'indocile presidente di Montecitorio, dovranno spiegare dove porta la strategia del pugilato permanente all'interno del partito di maggioranza relativa. La risposta è palese: porta solo al collasso della legislatura, dal momento che le fatidiche riforme, già difficili in tempi normali, diventeranno impossibili dopo la scissione. E una legislatura fallita a tre anni dalla sua conclusione rende pericolosamente reale l'ipotesi di elezioni anticipate.

Come dire che il premier potrebbe cogliere al balzo la circostanza per spingere presto o tardi il paese verso le urne, attribuendo ogni responsabilità a Fini. Un gioco fin troppo facile, di cui s'intravedono già oggi evidenti indizi. È comprensibile, quindi, che il presidente della Camera si sia affrettato a precisare che «Berlusconi è stato eletto dagli italiani e deve governare fino al termine della legislatura». Ma la realtà è più complicata e una frattura verticale del Pdl cambierebbe lo scenario parlamentare.

Del resto, se il problema è il populismo, la deriva presidenzialista senza controlli, il cedimento alla Lega, perché i «gruppi autonomi» finiani dovrebbero garantire sempre e comunque la loro lealtà a un premier così duramente criticato?

D'altra parte, Berlusconi non può essere sicuro che gli elettori accetterebbero di buon grado l'ennesima corsa al voto provocata dall'insipienza di una maggioranza incapace di darsi una regola e un equilibrio; una maggioranza interessata a tutto tranne che a compiere scelte di governo responsabili in nome dell'interesse generale. Il paese è già abbastanza lacerato senza doverlo sottoporre a un ulteriore trauma, destinato peraltro – è probabile – a provocare un maggiore sbilanciamento.

Sappiamo che la rottura tra Berlusconi e Fini è figlia di una lunga stagione di incomprensioni. Ed è anche, forse soprattutto, la prova che il Pdl era nato in modo facilone e approssimativo. Le contraddizioni ora esplose derivano dal famoso «predellino», celebrato a suo tempo come sinonimo di genialità politica. Ma forse l'attuale presidente della Camera avrebbe dovuto porre allora una serie di condizioni vincolanti, prima di «cofondare» il Pdl e di scoprire in seguito che la visione politico-istituzionale di Berlusconi e Bossi è diversa dalla sua.

Ora si tratta di salvare il salvabile. Le riforme sono un processo complesso e il presidente della Camera ha rappresentato in queste settimane un punto di vista equilibrato che sarebbe assai pericoloso liquidare con un'alzata di spalle arrogante. Ad esempio sul ruolo essenziale del Parlamento e degli istituti di garanzia. O sulla legge elettorale. Quindi il presidente del Consiglio non può non essere consapevole di quali effetti avrà la scissione. D'altra parte, Fini ha il dovere del realismo: le impuntature sui principi non portano lontano. Se davvero il contrasto può essere ricomposto con una migliore distribuzione del potere al vertice del Pdl e dei gruppi parlamentari, in modo che il presidente della Camera si senta più rappresentato, forse il compromesso è possibile. Altrimenti, rassegnamoci al peggio. Ma in questo caso la classe politica, anziché rivolgersi di nuovo agli elettori, dovrà prima o poi chieder loro scusa.

Da Il sole 24ore del 16 aprile 2010

2 commenti:

Aliza ha detto...

se sapessero fare autocritica...in realtà tutti si assolvono e danno la responsabilità dei fallimenti agli altri...
che tristezza non avere ne illusioni ne speranze rispetto alla classe politica, mi rendo conto che aspetto il peggio...e il peggio per me è benito, l'ho scritto con la minuscola per rendere l'idea...ciao Trilly

Kylie ha detto...

La maretta c'è da tempo, adesso forse i nodi vengono al pettine. Come dici tu le conseguenze potrebbero essere dannose per tutti, soprattutto per il paese.
Staremo a vedere come si evolverà la situazione.