mercoledì, marzo 24, 2010

Primo piano

SENZA UNA PLURALITÀ DI INFORMAZIONE CALA ANCHE LA DEMOCRAZIA

CENSURARE LE NOTIZIE
UN DANNOSO BOOMERANG

Manifestazione a Roma contro la chiusura dei programmi di informazione. Se gli ascolti Rai piangono, c'è chi ne trae vantaggi e fa il pieno di audience e pubblicità.

Rispettare il potere e rispettare l’informazione sul potere. Non è solo uno slogan. La frase dovrebbe essere ben in vista nei palazzi della politica e nelle stanze delle redazioni. Così è in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, nessuno si sognò di ricorrere, in fretta e furia, a decreti o strane regole di "par condicio" per mettere a tacere l’informazione e rimettere in gioco un presidente coinvolto negli scandali del Watergate.

In Italia, ogni pretesto è buono per tacitare voci scomode. L’informazione s’è ridotta a celebrare fasti e successi, rinunciando alla denuncia e a smascherare le bugie. Tra politici allergici alle critiche e "penne vendute" al potere, il quadro è poco allegro. E la democrazia ne risente, con qualche scricchiolio preoccupante. S’è persa l’unica ragione d’essere dei media: informare i lettori. «Se non si ha amore per la verità», scriveva don Zega, «meglio non intraprendere il mestiere di giornalista. Non si possono servire due padroni: la verità e il potere».

Né si può giocare con la libertà d’informazione. La possibilità che tutti, a ogni passaggio elettorale, fossero sulla stessa linea di partenza aveva dettato la cosiddetta "par condicio". Oggi, s’è trasformata in forma censoria, perché non si parli di nulla. Così, si impedisce ai cittadini di conoscere a fondo candidati e programmi. Al di là delle ufficiali (e scontate) "tribune elettorali". Non bastano più vaghe promesse. Si richiedono impegni concreti, su cui i politici saranno chiamati a rendere conto.

Che fine hanno fatto, ad esempio, il "quoziente familiare" e gli sgravi fiscali alle famiglie? Inoltre, non dovevano essere soppresse le Province, inutile fabbrica di poltrone e prebende, con sperpero di 14 miliardi di euro? Non solo non scompaiono, ma rischiano di arrivarne altre 21 con ulteriori costi. Come si fa, poi, a dire alle famiglie che non ci sono soldi per le loro richieste?

Tornando all’informazione, sarebbe il caso di rispolverare Thomas Jefferson, presidente americano, autore del primo emendamento della Costituzione Usa, dedicato alla libertà di stampa, che diceva: «Meglio giornali senza Governo, che un Governo senza giornali». Ma anche i giornalisti hanno le loro responsabilità. Nell’opinione pubblica godono di pessima reputazione, pari solo a quella dei politici. Lo scadimento dell’informazione è sotto gli occhi di tutti. C’è un direttore di Tg che confonde "assoluzione" con "prescrizione": roba da essere cacciato all’esame di idoneità professionale. E, invece, c’è la corsa a difendere uno sfregio alla verità. Senza pudore. Più che la passione per la notizia, si è attenti all’aria che tira. Pronti a cambiare bandiera, a ogni mutar di vento. Senza dignità.

Se si è servi, il potere ne approfitta. Così, si danno soldi a giornali di partito (spesso con più redattori che lettori) e si tagliano briciole di sovvenzione a migliaia di Tv e radio locali. Quelle più vicine alla gente e alle comunità locali. È provato: se cala la pluralità d’informazione, cala anche la democrazia in un Paese.

Oltretutto, oscurare le notizie è un dannoso boomerang. Anche economico. Se gli ascolti Rai piangono, c’è chi ne trae vantaggio e fa il pieno di audience e pubblicità. A forza di "bizantinismi" da basso impero, prima o poi, per decreto qualcuno deciderà chi ha diritto di parola e chi no; chi può giocare la partita e chi deve starne fuori; chi deve rispettare le leggi e chi, invece, può interpretarle. Tutto ciò con un’opinione pubblica poco reattiva e in un Paese dove difficilmente chi sbaglia paga.

(da Famiglia Cristiana del 14/03/10)

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