domenica, marzo 21, 2010

Primo piano

"UNA RIFLESSIONE A MARGINE DEL PASTICCIACCIO DELLE LISTE ELETTORALI

MA CHI CHIEDE ANCORA SCUSA
E DÀ IL "BUON ESEMPIO"?

Ammettere pubblicamente inadeguatezze ed errori presuppone una riflessione leale sugli sbagli commessi. E anche una buona dose di umiltà. Non è facile, ma è doveroso.

Che fine ha fatto il "buon esempio"? Ha ancora senso parlarne? E poi, costa così tanto, oggi, chiedere scusa? Ci sono due aspetti legati alla travagliata vicenda della presentazione delle liste di cui poco si parla, ma che non sono sfuggiti ai commentatori più attenti.

Il brutto pasticcio, originato dal non aver rispettato tempi e modi di consegna degli elenchi, accompagnato dall’assenza di una parola o di un gesto («Scusate, abbiamo sbagliato»), non ferisce soltanto il patto tra i cittadini, e tra loro e le istituzioni. Rende più soli e fragili chi, a ogni livello, ha responsabilità educative. Vale per padri, madri, insegnanti, animatori, catechisti. Insomma, vale un po’ per chiunque.

«Noi tutti», ha scritto giorni fa su La Stampa Marco Rossi Doria, «possiamo pretendere di educare i nostri figli, gli alunni o chi da noi vuole imparare un’arte o uno sport, solo se sono salvate alcune inderogabili condizioni. Se ci assumiamo il carico dell’esempio e del modello da fornire e, dunque, curiamo noi per primi la coerenza tra i proponimenti dichiarati e i comportamenti. Se presidiamo con costanza le procedure, le regole e i limiti, permettendo, in tal modo, ai più giovani di potervi fare i conti attraverso l’adesione progressiva, per prove ed errori».

Si può sbagliare, ovviamente. Tutti sbagliamo, per inesperienza o incompetenza. Capita di inciampare e cadere. L’importante è riconoscerlo. Non serve assolverci, puntando il dito contro altri e cercando altrove le responsabilità. «Poiché il mondo è imperfetto, e noi con esso», continuava Marco Rossi Doria, «dobbiamo anche assumerci – nella umana possibilità che le regole vengano disattese – l’onere di pretendere l’umiltà necessaria a rimediare alle conseguenze».

«E se questo vale per i più giovani, vale a maggior ragione quanto più si è avanti negli anni e quante maggiori responsabilità si assumono». È così. Si educa a chiedere scusa, sapendola chiedere a nostra volta. Ammettere pubblicamente inadeguatezze ed errori, presuppone una riflessione leale sugli sbagli commessi. E una buona dose di umiltà. Non è facile, certo, ma è doveroso. Specialmente per chi è alla guida di questo Paese, sempre più povero di valori. Purtroppo, oggi, l’Italia dei condoni, degli scudi fiscali, dei ricorsi e delle deroghe non coltiva l’etica della responsabilità. Chi sbaglia, non paga: elude, illude, fugge, urlando sempre più forte.

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri. O se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni», ricordava Paolo VI. Monito sempre attuale. Occorre lavorare sulle menti e sui cuori, più che sui ruoli; sulle motivazioni, più che sugli esiti. Oggi, si insiste a proposito e a sproposito sulla cultura del "fare", trascurando l’"essere".

Certe crepe, tanto profonde quanto trascurate, generano disvalori che portano lontano. Come provano il moltiplicarsi dei casi di corruzione e la continua svalutazione della vita, sempre e comunque sacra. La progressiva erosione delle regole, perseguita con ostinazione nel campo economico e legislativo, è accompagnata da un’altra insidiosissima carenza: quella morale. Val la pena prenderne atto. E reagire, prima che tutto finisca, irrimediabilmente, a pezzi. E che non ci resti solo raccogliere i cocci.

da Famiglia Cristiana del 21/03/10

3 commenti:

Gianna ha detto...

"Mi hai rubato l'articolo".
Era già pronto, dopo aver letto ieri Famiglia Cristiana.

Non si usa più chiedere scusa, ma perchè, può denotare debolezza?

Sarebbe così bello ammettere che tutti possiamo sbagliare e nessuno è onnipotente...!

Kylie ha detto...

Senza regole e senza facce.

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo in pieno!